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C.M. 07/12/2005 n. 2699
3. Ambito soggettivo di applicazione. Circa i soggetti legittimati alla presentazione della domanda di sanatoria, l'art. 32 della legge. n. 326/2003 nulla innova la disciplina contenuta nell'art. 31 della legge n. 47/1985. Nel richiamare pertanto le indicazioni contenute nelle circolari applicative del Ministero dei lavori pubblici rispettivamente 30/07/1985 n. 3357/25 e 17/06/1995 n. 2241/UL, si ritiene opportuno indicare brevemente le principali categorie dei soggetti che hanno titolo a richiedere la sanatoria. Sono legittimati, innanzitutto, i proprietari delle opere abusive. Va precisato che in situazioni di condominio l'istanza potrà essere presentata dall'amministratore previa delibera dell'assemblea condominiale, o, in caso inerzia dell'assemblea, dallo stesso amministratore nonchè da ogni singolo condomino. Nell'ipotesi di titolarità del diritto sull'immobile da parte di una persona giuridica, la sanatoria dovrà essere richiesta dalla persona fisica che ne ha la rappresentanza legale. In secondo luogo, possono richiedere la sanatoria i soggetti individuati dall'art. 11 del testo unico dell'edilizia e, quindi i titolari di un diritto reale sul bene quale usufrutto, uso, abitazione, diritto di superficie, ecc. nonchè, in base al comma 3 dell'art. 31 della legge n. 47/1985, qualsiasi soggetto interessato al conseguimento della sanatoria stessa. Tale ultima categoria può essere identificata in tutti i soggetti che dalla sanatoria dell'abuso possono trarre un vantaggio giuridico ed economico. L'onere della sanatoria deve essere sopportato dal responsabile dell'abuso, posto che l'art. 31, comma 3, precisa che gli «altri soggetti interessati» hanno diritto di rivalsa nei confronti del proprietario per quanto concerne le spese sostenute per il pagamento sia dell'oblazione sia del contributo di concessione. Il diritto di rivalsa tuttavia non compete quando il soggetto interessato alla sanatoria sia esso stesso responsabile dell'abuso. Si sottolinea in particolare la legittimazione del locatario a presentare la domanda di sanatoria del bene abusivo, a fronte dell'inerzia del proprietario, nonchè dei congiunti o dei rappresentati legali o volontari, dei creditori nei confronti del proprietario dell'immobile abusivo, ecc. Il condono edilizio potrà altresì essere richiesto dall'autore dell'illecito non più proprietario dell'immobile per l'interesse agli effetti estintivi dell'illecito di natura sia penale che amministrativa. Infine si evidenzia la particolare legittimazione alla presentazione di autonoma domanda di sanatoria, ai sensi dell'art. 38, comma 5 della legge n. 47/1985, da parte dei soggetti diversi dal proprietario che siano interessati a beneficiare degli effetti estintivi penali corrispondendo un'oblazione nella misura del 30% rispetto a quella dovuta dal proprietario. Trattasi dei soggetti indicati dall'art. 29 del testo unico dell'edilizia, ossia il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore e il direttore dei lavori, ove diversi dal proprietario, fermo restando che gli effetti di estinzione del reato, nei confronti dei predetti soggetti, opera anche nel caso di mancata presen-tazione della domanda di sanatoria ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, nonchè in caso di diniego del rilascio del medesimo. Il comma 31 chiarisce che il titolo abilitativo edilizio in sanatoria non comporta limitazioni ai diritti dei terzi, in quanto il provvedimento di sanatoria è finalizzato unicamente a regolamentare il rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione ed è quindi inidoneo a comprimere i diritti soggettivi dei terzi.
4. Ambito oggettivo di applicazione. Anche per quanto concerne l'ambito oggettivo di applicazione, la Corte costituzionale ha fatto salva, in ogni caso, la possibilità per le leggi regionali di determinare limiti volumetrici da ammettere a sanatoria in misura inferiore a quelli previsti dal legislatore statale. In mancanza di disciplina regionale trova applicazione quanto stabilito dalle norme nazionali. Ai sensi del comma 25 dell'art. 32 della legge n. 326 del 2003, i capi IV e V della legge n. 47/1985, e successive modificazioni ed integrazioni, come successivamente modificate dall'art. 39 della legge n. 724/1994, e successive modifiche ed integrazioni, nonchè dall'art. 32 della legge n. 326/2003, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003. Il legislatore fa riferimento a due fattispecie: - ampliamenti: sono condonabili, indipendentemente dalla destinazione d'uso (residenziale o non residenziale), le opere abusive ove non superino, alternativamente, i 750 mc. ovvero il 30 per cento della volumetria della costruzione originaria; - nuove costruzioni. Per le nuove costruzioni residenziali, il comma 25 prevede che le suddette disposizioni si applichino alle opere abusive ultimate entro il 31/03/2003 non superiori a 750 mc. per singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria, a condizione, tuttavia, che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3000 mc. In caso di superamento di quest'ultimo limite, pertanto, è preclusa ogni forma di sanatoria, salva la doverosa riconduzione al limite dei 3000 mc. con demolizione delle opere scorporabili eccedenti. In questo caso, alla domanda di sanatoria deve essere allegato un atto d'obbligo da parte dell'interessato a demolire le parti eccedenti i 3.000 mc. Il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria è condizionato dall'effettiva esecuzione delle demolizioni, che deve avvenire con le modalità indicate dalle norme relative al completamento delle opere abusive (art. 35, comma 14, della legge n. 47/1985). Qualora, invece, non risulti oggettivamente possibile la demolizione delle opere eccedenti il suddetto limite, la sanatoria sarà preclusa. Per le nuove costruzioni con destinazione d'uso non residenziali, invece, come previsto dai precedenti condoni, la sanatoria è ammessa anche oltre i limiti volumetrici previsti per i manufatti residenziali. Si precisa che per costruzioni non residenziali si intendono tutti gli immobili finalizzati alla produzione di beni e/o servizi, o con destinazioni d'uso terziarie e direzionali, come identificate dagli strumenti di pianificazione comunale. Relativamente al concetto di ultimazione, si rinvia a quanto previsto dal comma 2 dell'art. 31 della legge n. 47/1985, nonchè dalle circolari del Ministero dei lavori pubblici n. 3357/25 del 30/07/1985 e n. 2241/UL del 17 giugno 1995. In base alla norma sopracitata, debbono intendersi ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura. Al riguardo, la giurisprudenza ha precisato che la disposizione contenuta nell'art. 31, comma 2, della citata legge n. 47/1985 deve essere intesa nel senso che l'esecuzione del rustico implica la tamponatura dell'edificio stesso, con conseguente non sanabilità di quelle opere ove manchino in tutto o in parte i muri di tamponamento che determinano l'isolamento dell'immobile dalle intemperie e configurano l'opera nella sua fondamentale volumetria (cfr. Cass. pen., Sez. III, 12/04/1999 n. 6548; Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2000 n. 5638). Le opere interne agli edifici già esistenti e quelle non destinate alla residenza, si devono intendere ammissibili al condono quando siano state completate funzionalmente e cioè siano tali da identificare la possibilità di uso in relazione alla funzione cui sono destinate. Per le nuove costruzioni, l'intervento deve reputarsi ultimato nel momento in cui è definita la volumetria relativa, non essendo comunque ammissibili aggiunte successive all'immobile oggetto di sanatoria, nell'ambito delle opere di completamento.
5. Tipologie di abuso sanabili. La Corte costituzionale ha fatto salva la facoltà del legislatore regionale di determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all'allegato 1 della legge n. 326/2003. In mancanza di disciplina regionale si applicano le disposizioni nazionali. Il comma 26 dell'art. 32 della legge n. 326/2003, facendo rinvio all'allegato 1 della medesima legge, stabilisce quali siano le tipologie di abuso ammesse a sanatoria in base al nuovo condono edilizio. Le stesse sono state aggiornate e modificate, rispetto alla definizione originaria contenuta nella legge n. 47/1985 e riconfermata dalla legge n. 724/1994. Si è tenuto conto sia dell'entrata in vigore delle norme relative alla disciplina dell'attività edilizia, contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, sia dell'esigenza di semplificare l'individuazione dell'abuso edilizio, in relazione alla categoria di intervento eseguito. Permane, comunque, la classificazione delle tipologie di abusi in relazione alla gravità dell'illecito commesso. Tipologia 1: si tratta dei cosiddetti abusi sostanziali, vale a dire di opere rea lizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Tipologia 2: si tratta dei cosiddetti abusi formali, vale a dire opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore delle nuove norme sul condono edilizio. Tipologia 3: opere di ristrutturazione edilizia come definite dall'art. 3, comma 1, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativi edilizio. Relativamente alla fattispecie della ristrutturazione edilizia, appare opportuno rinviare a quanto contenuto nella circolare interpretativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 4174 del 07/08/2003 (in Gazzetta Ufficiale n. 274 del 25/11/2003), relativa alla inclusione dell'intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia. Ai sensi dell'art. 3, lettera d) del testo unico sull'edilizia, sono qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare alla creazione di organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Gli interventi comprendono il ripristino, la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. La definizione contenuta nell'art. 3, comma 1, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 riproduce sostanzialmente quanto previsto dalla lettera d) dell'art. 31 della legge n. 457/1978. Tuttavia, il legislatore, al fine di chiarire l'esatto inquadramento di una fattispecie che in passato ha dato adito a discordanti orientamenti giurisprudenziali, ha aggiunto che nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. Tale formulazione discende dalle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 301 del 2002, adottato in attuazione della legge n. 443/2001, in quanto la ristrutturazione edilizia come configurata nella originaria versione del testo unico imponeva anche la perfetta identità, tra nuova e vecchia costruzione, non solo di volume e sagoma, ma anche di area di sedime e caratteristiche dei materiali. La qualificazione come ristrutturazione edilizia degli interventi di demolizione e ricostruzione, nei limiti sopra indicati, consente agli interessati di conformarsi agli strumenti urbanistici, di regola meno restrittivi, del tempo in cui fu rilasciata l'originaria concessione per l'edificio demolito. Infatti, in tal caso, l'impatto urbanistico del manufatto è stato già valutato dall'amministrazione al momento del rilascio del titolo abilitativo originario. Qualora, invece, l'edificio ricostruito si differenzi anche per uno solo dei due elementi suddetti rispetto a quello originario, la fattispecie deve essere considerata come nuova costruzione, e ad essa saranno applicabili le norme dello strumento urbanistico attuale. Per quanto concerne il titolo abilitativo necessario per procedere ad un intervento di ristrutturazione edilizia, l'art. 10, comma 1, lettera c), del testo unico sull'edilizia, come da ultimo modificato dal decreto legislativo n. 301/2002, considera trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, con conseguente assoggettamento a permesso di costruire, gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino alla creazione di un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti di destinazione d'uso. Il legislatore, pertanto, sotto questo profilo, ha individuato quegli interventi di ristrutturazione edilizia che, a causa dell'incidenza sul peso urbanistico dell'area, richiedono il previo rilascio del permesso di costruire, mentre le ristrutturazioni edilizie di portata minore, non comportando una sostanziale alterazione dello stato dei luoghi, possono essere realizzate in base ad una denuncia di inizio di attività. L'art. 10, comma 1, lettera c), del testo unico sull'edilizia fa espresso riferimento alle modifiche dei volumi, con ciò dovendosi ritenere, conformemente alla prevalente giurisprudenza, le sole diminuzioni o le traslazioni di volumi preesistenti, configurandosi, invece, una fattispecie riconducibile a nuova costruzione l'intervento edilizio che determini un aumento di volumetria. Tale distinzione assume importanza anche alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 443/2001 e dal successivo decreto legislativo n. 301 del 2002, con i quali è stata prevista la possibilità di ricorrere alla denuncia di inizio di attività, in alternativa al permesso di costruire, anche per gli interventi di ristrutturazione di cui al citato art. 10, comma 1, lettera c) del testo unico sull'edilizia (art. 22, comma 3, lettera a) del testo unico sull'edilizia). Trattasi di una alternativa meramente procedurale che non incide sotto alcun aspetto sulla disciplina sostanziale dell'intervento edilizio di cui trattasi. Ciò si desume dall'art. 31, comma 9-bis, del testo unico sull'edilizia, in base al quale le disposizioni dello stesso art. 31 (riguardante gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'art. 22, comma 3, del testo unico, tra i quali rientrano anche gli interventi di ristrutturazione di cui all'art. 10, comma 1, lettera c) del testo unico sull'edilizia. Può definirsi, quindi, «leggera» la ristrutturazione che non comporta una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. Essa è assoggettata a D.I.A. e la sua portata può desumersi «a contrario» dalla individuazione degli interventi di cui all'art. 10, comma 1, lettera c) del testo unico sull'edilizia. La fattispecie, ai fini del condono, può assimilarsi alla figura del restauro e risanamento conservativo di cui alla tipologia n. 5 della tabella C allegata alla legge. n. 326/2003. La ristrutturazione cosiddetta «pesante», invece, la quale comporta una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio ed è soggetta in alternativa a permesso di costruire o a D.I.A., è specificatamente individuabile nella descrizione degli interventi di cui all'art. 10, comma 1, lettere b) e c) del testo unico dell'edilizia. In tal caso, ai fini del condono, occorre richiamarsi alla tipologia n. 3 della suddetta tabella C. Ne consegue che rientrano nella tipologia 3 gli interventi di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell'edificio preesistente, salvo diversa indicazione fornita da leggi regionali, nonchè le opere di ristrutturazione edilizia aventi le caratteristiche di cui all'art. 10, comma 1, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, mentre gli stessi possono essere assimilati alla tipologia 5 se l'intervento edilizio non possa essere ricondotto alla categoria della manutenzione straordinaria e presenti le seguenti caratteristiche: - non comporti aumento delle unità immobiliari; - non modifichi la sagoma, il volume, i prospetti o le superfici esistenti; - non modifichi la destinazione d'uso in immobili compresi nelle zone A di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968. Tipologia 4: Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dal l'art. 3, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Re pubblica 06/06/2001 n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A di cui all'art. 2 del decreto ministeriale 02/04/1968 n. 1444. Tipologia 5: opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall'art. 3, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001 n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio. Tipologia 6: opere di manutenzione straordinaria, come definite dall'art. 3, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001 n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità non valutabili in termini di superficie o di volume. Nel concetto di titolo abilitativo edilizio deve ricomprendersi, ovviamente, anche la denuncia di inizio di attività, in quanto atto formatosi implicitamente a seguito di comunicazione da parte dell'interessato. Per quanto concerne i mutamenti di destinazione d'uso, la fattispecie, se realizzata senza opere, salvo diversa disciplina regionale, deve ricondursi ad interventi non assoggettati al previo rilascio del titolo abilitativi. In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 10/03/1999 n. 231 e sez. V, 14/05/2003 n. 2586) e la Corte costituzionale (sentenza n. 73 dell' 11/02/1991). Ne deriva che, conformemente a quanto affermato nella più volte richiamata circolare n. 2241/UL del 17/06/1995, sulla problematica in questione (per quanto non in contrasto con le disposizioni soprav-venute) ed anche alla luce della legge n. 326/2003, non si reputa necessaria la sanatoria per il mutamento di destinazione d'uso meramente funzionale. La giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare, al riguardo, che la diversa utilizzazione di un edificio, attuata senza opere, costituisce esercizio di «jus utendi» che, diversamente dallo «jus aedificandi», non rientra, salvo diversa legislazione regionale, nella disciplina urbanistico-edilizia generale. Nel caso in cui avvenga un mutamento di destinazione d'uso senza opere, in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, si deve ritenere ammissibile la presentazione di una domanda di sanatoria. Ciò in quanto la definitiva introduzione della destinazione d'uso, utilizza la tipologia 3, trattandosi di una variazione che comporta un aumento degli standard urbanistici. Qualora, viceversa, il mutamento di destinazione d'uso sia conforme alle prescrizioni urbanistiche e agli strumenti di piano e sia disciplinata con legge regionale che preveda la presentazione di una denuncia di inizio attività, la tipologia di abuso da utilizzare è la n. 6. Il mutamento di destinazione d'uso realizzato con opere non diverge da quanto previsto dalla legge n. 47/1985. Si rinvia pertanto alla disciplina dei precedenti condoni, avendo anche riguardo alle normative regionali. Tutta via, per individuare correttamente la tipologia di abuso relativa al mutamento di destinazione d'uso realizzata attraverso opere edilizie, occorre effettuare la concreta verifica della natura delle opere stesse. Pertanto, l'abuso può rientrare, a seconda dei casi, nella tipologia 3, ovvero 4 o 5.
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